In Opera, Pirozzi: “Abbiamo riorientato il lavoro a partire dalla riscoperta della nostra identità”

Intervista a Giovanni Pirozzi, presidente della cooperativa In Opera

Giovanni Pirozzi, classe 1980, da due anni è alla guida di In Opera, la cooperativa sociale, aderente al CSR, nata diversi anni fa in seno al Consorzio Target Sinergie. Negli ultimi 24 mesi ha preso avvio un percorso di profonda riscoperta dell’identità della cooperativa stessa che ha avuto, come conseguenza diretta, il riorientamento dell’attività lavorativa. Tenendo fermo al centro di tutto, sempre, il valore della persona e della relazione.

Giovanni Pirozzi: prima di arrivare a In Opera, qual è stato il suo percorso professionale?
Sono laureato in Economia aziendale e sapevo che mi sarei impegnato in Target o In opera, per la stima in ciò che stava costruendo mio padre Domenico. Prima però volevo fare esperienza ‘fuori’: sono stato due anni a New York, lavorando come consulente in ambito contabile; poi in Ernest & Young, all’estero, un po’ dappertutto. In quegli anni mi sono sposato e sono quindi passato in Target come controller: occupandomi di contabilità e controllo di gestione. Nel 2020 mio fratello Tommaso ha preso in mano Target e io In Opera. Oggi Target Sinergie è una srl e In Opera una cooperativa sociale, distinte l’una dall’altra.

Perché questa separazione tra le due realtà?
In opera è nata all’interno dell’alveo del consorzio Target Sinergie come strumento per offrire un lavoro a persone fragili che mio padre incontrava. Invece adesso la nostra idea è quella di seguire una strada ‘nostra’ e di dare vita alla ‘nostra’ In Opera.

E qual è questa ‘strada’?
Per spiegarlo, devo fare un passo indietro. Quando ho scoperto che io e mia moglie non avremmo potuto avere figli, mi è crollato il mondo addosso. Mi sentivo come se la vita fosse tutta una fregatura, come se le promesse che avevo nel cuore non potessero essere mantenute. Poi lei mi ha detto: “Perché non adottiamo?”. Era una strada che non capivo molto. Mi dovevo accontentare?

…E?
…e invece ho capito, diventando padre adottivo, che quella che stavo intraprendendo era la strada più bella possibile per la mia vita. Ho capito che quella fatica che stavo facendo non era un ‘piano b’, ma la via maestra per realizzare me stesso e la mia felicità come uomo.

Quindi?
Quando qualcuno cerca un lavoro, è facile che passi anche in Target. Vedevamo centinaia di persone ogni anno, spesso in gravi difficoltà. Ma grazie a quello che avevo vissuto io nella mia storia personale, ho sempre avuto nei loro confronti lo sguardo di chi sa che ciò a cui si stavano aggrappando non era l’ultima spiaggia. Ma l’inizio di qualcosa di diverso. Era la via maestra.

Entrare dentro In Opera ha voluto dire ‘ripensare’ interamente questo strumento.
Da gennaio 2020 mi sono dedicato a In Opera completamente, con il desiderio di rinnovarla, ripensarla. Chiara Colaprete, una collega di Target, attualmente responsabilie HR in In Opera e vice-presidente, mi ha seguito in cooperativa e l’ho coinvolta in questo progetto di riorientamento.

Sono trascorsi due anni: qual è la nuova identità di In Opera?
In Opera era nata nel 1998 per inserire persone svantaggiate e ancora lo facciamo, in contesti lavorativi adeguati. Ma anche grazie ai consulenti che abbiamo coinvolto in questo processo – capire chi eravamo e cosa volevamo fare – abbiamo esplicitato una mission nuova, una identità e dei valori fondanti irrinunciabili, che oggi costituiscono la base della cooperativa.

Quali sono?
In primis, offrire una relazione di lavoro che possa accendere le persone e rilanciarle, alla scoperta di se stessi e di ciò che può rendere piena e felice la vita. È questo quello che è scritto nella nostra mission. Non ci sono riferimenti ne’ ai clienti ne’ ai servizi. Non è quello lo scopo. È solo il mezzo.

Questo cosa comporta, in termini concreti?
Il percorso di ripensamento coinvolge anche i nostri clienti. Perché l’unica strada per rispondere pienamente alla nostra missione è quella di ridimensionarci, ritornare ad essere una cooperativa territoriale, che dà risposte per e sul territorio, stando in Emilia-Romagna. Lasciando da parte grandi appalti per lavorare con gli imprenditori locali.

In termini numerici questo cosa significa?
Oggi In Opera è ancora una realtà molto grande: nel 2021 abbiamo fatturato 15 milioni di Euro e offerto lavoro a più di 800 persone di cui 450 appartenenti alle categorie protette; è dipeso dagli appalti ancora in essere in Lazio e in Abruzzo, ma questi appalti si stanno concludendo e abbiamo deciso di non partecipare più.

Qual è il punto di arrivo di questa riorganizzazione?
Il punto di arrivo è all’insegna della territorialità e nel 2023 dovremmo raggiungere questo progetto di limite geografico. Come forza lavoro, invece, pensiamo di arrivare ad essere in tutto 100/150 persone.

Come vi approcciate, quindi, alla relazione di lavoro e all’inserimento?
I servizi che svolgiamo non sono il centro del nostro lavoro; il focus è sulle persone che incontriamo e sul lavoro più adeguato per loro. Quindi il punto di partenza non è il servizio, ma la persona che abbiamo di fronte, chiedendoci quale possa essere il giusto lavoro per lei. Quando incontro un imprenditore gli spiego qual è il mio scopo e gli chiedo se gli interessa costruire assieme a noi un percorso, un servizio che abbia quella finalità: reinserire la persona, aiutandola a ritrovare se stessa.

Qual è il percorso che avete strutturato?
Abbiamo iniziato a mettere a punto una metodologia dedicata al recruitment e all’inserimento. La selezione è il primo momento di incontro, anche se magari non abbiamo un lavoro adatto in quel momento. È un’accoglienza ed è su due aspetti: tecnica e personale.

L’inserimento come funziona?
Per un percorso lavorativo adeguato alle caratteristiche di ciascuno, crediamo nella costruzione di un Progetto di Inserimento Lavorativo, in cui vengono definiti e monitorati gli obiettivi e gli strumenti di controllo, per capire se ce l’ha fatta o no a raggiungerli. Per questo incontriamo la persona ogni due/tre mesi: per vederne i progressi, valutare correzioni, capire se ci sono problemi particolari. Noi vogliamo che sia uno strumento vivo, che possa durare per tutta la vita del rapporto di lavoro. E formiamo anche dei tutor appositi atti a seguirle le persone in questo percorso lavorativo.

Che servizi svolge oggi In Opera?
Soprattutto pulizie, con competenze specifiche di livello elevato, settore nel quale riusciamo a perfezionare tanti inserimenti ex Legge 17. Abbiamo acquisito importanti competenze anche nell’ambito dei servizi amministrativi (call center, CRM, back/front office). Facciamo anche guardiania, portierato, controllo accessi, e servizi di supporto alla produzione (assemblaggio, etichettatura, confezionamento, ecc.).

E dove li svolge?
Tra Rimini, Cesena, San Mauro, Forlì e Bologna.

Il vostro percorso di riorientamento e diminuzione ha trovato tutti d’accordo?
Il lavoro iniziale dedicato all’identità e alla mission l’ha seguito un gruppo molto ristretto. Poi abbiamo coinvolto tutto il personale in una convention, per raccontare il nostro progetto e la direzione che stavamo prendendo.

Come è andata?
C’è stato molto entusiasmo da parte di tutti. Anche la questione del ridimensionamento è stata accolta bene, non senza qualche preoccupazione a livello personale. Ma abbiamo tranquillizzato tutti e, nei fatti, non abbiamo mai lasciato a casa nessuno. D’altro canto, abbiamo chiesto flessibilità da parte di tutti e la disponibilità ad accettare mansioni magari diverse rispetto a prima.

Che rapporto avete con il CSR, il Consorzio Sociale Romagnolo, al quale aderite da oltre venti anni?
È una relazione che, al momento, è riferita in particolare alle attività che ‘passano’ dal Consorzio, come le le convenzioni ex Legge 17. Mi sembra un rapporto comunque positivo e in fase di crescita. Tutti i cambiamenti che stiamo vivendo li stiamo cercando di operare in maniera seria e leale, con le persone e con tutti quelli con cui abbiamo a che fare. Questo mi sembra ci venga riconosciuto.

A proposito della Legge 17: cosa ne pensa di questo strumento?
È uno strumento molto positivo. Abbiamo una quindicina di convenzioni, al momento, e durano da tanti anni. Questa legge ci piace perché è un modo per entrare nelle aziende, aiutando a lavorare e stare bene persone che hanno certi tipi di problematiche. Ci sono imprese anche importanti che hanno una forte spinta sociale e che inseriscono molte persone con disabilità. Poi magari si trovano a non saperle gestire e cambiano loro la mansione. Con la Legge 17 cooperativa e impresa riescono a creare, assieme, il contesto giusto per far stare tutti bene. E se stai bene, produci anche di più. Qualche volta invece ci troviamo di fronte ad un’azienda che desidera solo ottemperare l’obbligo di legge e ci chiede la risorsa. Punto. Noi cerchiamo invece di costruire un servizio e una relazione strutturando una piccola squadretta che favorisca la buona riuscita dell’inserimento.

A che punto è la cooperazione sociale, secondo lei?
Penso che il mondo della cooperazione sociale abbia un po’ perso di credibilità nei confronti dell’opinione pubblica: spesso interpellano questo mondo solo come strumento per risparmiare. Io invece credo molto nella bontà dello strumento cooperativo, penso che si debba trovare il modo di sostenerlo e favorirlo. Nel tessuto sociale di un territorio la cooperazione sociale può essere un punto importante di aggregazione, una realtà dove ci sono persone che lavorano per il bene del singolo e della collettività. Per il bene comune.

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